Pubblicato sul Blog di www.fotoit.it nel dicembre 2009. Nel 2009, anno galileiano, sono state molte le iniziative per ricordare lo scienziato a Pisa, sua città natale. In occasione di una di queste - “Incontro di Studi: Galileo, fondatore del metodo sperimentale per la ricerca e il progresso scientifico” - tenuto presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, mi è stato proposto di fare un discorso introduttivo all’audiovisivo di fotografia astronomica “Dal tramonto all’alba” dell’astrofotografo Marco Maniero e volentieri ho accettato anche perché conoscevo già, per i miei studi di astrofisica e di storia della scienza, alcune interessanti collegamenti tra l’uso del cannocchiale da parte di Galileo e la fotografia. Riporto qui il mio intervento nella bellissima Sala degli Stemmi della Normale, sede del convegno. <<Sono stato invitato qui per introdurre un interessantissimo audiovisivo di fotografia astronomica in veste di modesto scrittore di articoli sulla fotografia e di fotografo naturalista. Infatti la fotografia astronomica si inserisce senz’altro nella vastissima famiglia della fotografia di natura che trova i suoi soggetti dall’atomo alle galassie passando per la davvero infinita varietà di animali, vegetali, rocce, acque, paesaggi, eventi metereologici e tanti altri che il pianeta Terra ci offre. E' importante fare alcune premesse importanti per comprendere il ruolo che lo scienziato pisano ha avuto nel farci capire quale valore dare alla fotografia, in particolare a quella naturalistica. Intanto dobbiamo sapere che la fotografia di Natura appartiene alla fotografia cosiddetta “realista” come lo sono anche la fotografia di reportage, quella di sport e più in generale il fotogiornalismo, sempre più importante in questa “epoca dell’immagine”. Quella realista è la fotografia “vera”, altrimenti secondo me si deve parlare di “immagini fotoprodotte” e non di fotografia. La fotografia è nata con l’intento di riprodurre la realtà e il fatto che quasi sùbito ci sia stato chi ha detto bugie manipolandola rafforza solo il fatto che con essa si può dire anche la verità. Devo confessare che mi meraviglio spesso e molto negativamente ancor oggi, nel 2009 quasi fossimo invece nel 1909, quando sono costretto a ripetere non a un pubblico generico ma addirittura in consessi di fotografi, che nessuna fotografia è realtà; nessuna stampa tratta da negativo, diapositiva o file e nessuna immagine da file che vediamo su di un video è realtà. Magritte scrisse “Questa non è una pipa” sotto una pipa molto realisticamente dipinta e noi potremmo scrivere “Questo non è un fiore” sotto la foto di un fiore ripreso nella maniera più semplice e realistica possibile. La fotografia è, o meglio può essere, rappresentazione della realtà, ma mai realtà. Ora, ogni rappresentazione si avvale di un linguaggio, che in questo caso è ovviamente quello fotografico, un linguaggio estremamente ricco e quindi pieno di scelte e quindi ancora di molteplici possibilità espressive anche senza manipolare le fotografie. Allora mi direte voi, come si può parlare di fotografia “realista” se nessuna foto è mai realtà? E’ presto detto: siamo nell’ambito della fotografia realista quando l’idea e lo scopo del fotografo è di riportarci ciò che era davanti all’obiettivo senza falsificare la realtà. Sembra semplice e complicato allo stesso tempo: semplice perché è intuitivo cosa vuol dire alterare una scena, complicato per la già dichiarata complessità del linguaggio fotografico. Sull’argomento sono stati scritti fiumi di parole e qualcosa troverete anche nella sezione “Idee e articoli” del mio sito ma non è questa la sede per approfondire. Partiamo comunque da questo concetto di fotografia realista: riportare quel che era davanti all’obiettivo stampando o proiettando ciò che era stato registrato dalla pellicola o dal sensore senza apportare modifiche tali da falsificare la realtà. Vedrete nell’audiovisivo uno dei mille modi per falsificare la realtà. Ci sarà un’immagine della luna sopra il Duomo di Pisa e vi salterà sùbito all’occhio che la luna è molto più grande di quanto dovrebbe essere. Badate bene che queste immagini sono tratte da diapositive. Cos’è successo? Che il fotografo ha fatto una doppia esposizione sulla stessa diapositiva: prima ha fotografato il Duomo con un 50 mm che “vede” più o meno come i vostri occhi e poi, sempre - ripeto - sulla stessa diapositiva ha fotografato la luna con un teleobiettivo. Ognuno dei due “scatti” ha registrato qualcosa di realistico ma insieme formano una immagine dove le proporzioni sono evidentemente false. Questa volta l'operazione è dichiarata, e usata solo a scopo divulgativo per ottenere il risalto dei particolari dell’astro altrimenti piccolissimo. Ma veniamo a Galileo. Cominciò le prime osservazioni del cielo con cannocchiali di sua costruzione nel 1609 e già l’anno successivo pubblicava un piccolo ma importantissimo libro con le principali osservazioni compiute, il Sidereus Nuncius. Galileo non fu il primo a fare cannocchiali né il primo a osservare il cielo, ma fu il primo a capire l’importanza dello strumento e l’importanza delle scoperte fatte. Si rese sùbito conto infatti che ciò che vedeva andava contro la concezione aristotelica e tolemaica del mondo e a favore della concezione copernicana. Apro una parentesi per dire che io non condivido l’attribuzione a Copernico dell’idea di un sole al centro dell’orbita dei pianeti: il primo a formulare tale ipotesi fu infatti Aristarco di Samo in Grecia già nel 260 avanti Cristo (formulò anche l’ipotesi, straordinaria per l’epoca, che il Sole fosse venti volte più grande della Luna ma venti volte più lontano e aveva visto giusto fuorché nel valore assoluto perché in realtà è 400 volte più grande e 400 volte più lontano), mentre colui che ha dimostrato con esattezza (e “dimostrato” è il verbo che più conta nella scienza!) la correttezza del sistema eliocentrico è stato Keplero con le sue famose tre leggi, scoperte con un eccezionale sforzo intellettuale di cui né Copernico né Galileo non sarebbero mai stati neppur lontanamente capaci. Nel Sidereus Nuncius si diceva molto contro Aristotele: il Sole aveva delle macchie e non era quindi un corpo perfetto, la Luna aveva montagne e non erano quindi un corpo perfettamente liscio, Venere aveva delle fasi come quelle lunari ciò che era non prova definitiva ma forte indizio che il pianeta girava intorno al Sole, e Giove aveva addirittura diversi satelliti (che Galileo chiamò Pianeti Medicei in onore ai suoi protettori fiorentini). Tutto ciò destabilizzava radicalmente una visione e un’architettura dell’Universo che duravano da quasi due millenni e come sempre accade in tali casi suscitò violente opposizioni, ed è proprio il superamento di queste che ci interessa in questa sede. Le reazioni che mettevano in dubbio l’attendibilità di ciò che si vedeva “nel” cannocchiale erano schematicamente di due tipi: fisiche, direi anche fattuali, e concettuali se non ideologiche; e i due motivi si intrecciavano e rafforzavano l’un l’altro. Galileo dovette affrontarli entrambi per imporre la “sua” autorità. I motivi fisici risiedevano soprattutto nella cattiva qualità delle lenti che rendevano le osservazioni poco chiare. Tanto per dire, il Nostro, cercando di convincere le maggiori autorità in materia, si recò personalmente per una dimostrazione a Bologna dal professor Antonio Magini, fermo oppositore delle sue scoperte, e dalle osservazioni fatte non si arrivò ad un riconoscimento della validità del mezzo, ed ebbe stessa sorte col matematico Cristoforo Clavio, del Collegio Romano. Tuttavia queste obiezioni decaddero quasi naturalmente nel giro di un anno col miglioramento delle lenti e con osservazioni più attente e accurate. Lo stesso Keplero nonostante le pressioni avute per dichiararsi contrario al cannocchiale quale fonte veritiera e nonostante le sgarbatezze avute da Galileo (che gli negò un cannocchiale dicendo di non averne più proprio nel periodo che ne regalava in abbondanza a tutti quelli che potevano fargli dei favori!) quando ebbe modo di osservare il cielo col cannocchiale del Grande Elettore di Colonia (che ne aveva uno molto buono regalatogli naturalmente da Galileo) scrisse sùbito in favore della veridicità di ciò che il nuovo strumento ottico permetteva di vedere. Più difficili da superare, ma più interessanti, furono invece le obiezioni di tipo concettuale. Queste erano molto varie. Un “estremista” era l’amico-avversario di Padova, l’aristotelico Cesare Cremonini, talmente sicuro di essere nel giusto che semplicemente ignorò tutto quello che scrisse Galileo e non volle mai mettere occhio alle lenti. Altra posizione radicale era quella del potente Cardinale Roberto Bellarmino, gesuita, per il quale quello che si vedeva nel cannocchiale era sicuramente opera del diavolo. Nel mezzo, però, c’era la direi quasi normale avversione e il non fidarsi per una novità così grande, c’era il venir fuori della naturale neofobia, la paura della novità e del cambiamento, insita nell’uomo. Questo era un ostacolo veramente grande anche se oggi può apparire quasi ridicolo, ma la storia è piena di luoghi comuni apparentemente ridicoli che però hanno fermato il progresso anche per secoli. Per alcuni quindi il cannocchiale ingannava, per molti era da considerarsi “realtà” ed esisteva soltanto quello che si vedeva ad occhio nudo e nient’altro poteva essere preso in considerazione, soprattutto sul piano scientifico.
Tra le diverse argomentazioni che Galileo portò per superare queste resistenze ne riporto una filosofica, molto arguta e anche curiosa, ed è anche quella per noi più interessante perché attinge al mondo naturale. In quel tempo era già noto e universalmente accettato il fatto che certi animali hanno una vista enormemente superiore a quella umana tanto che ancor oggi si usano le espressioni “occhio di falco” oppure “occhio di lince”. Ebbene lo scienziato pisano sfruttò questa cosa e rispose più o meno così. “Voi dite che esiste solo ciò che vede l’uomo ad occhio nudo. Bene, dovete allora ammettere che per le aquile e i lupi cervieri (le linci) esistono cose che non esistono per l’uomo avendo essi una vista eccezionalmente più acuta. Loro vedono i Pianeti Medicei, ma vi sembra possibile che tali pianeti debbano esistere per aquile e lupi e non per l’uomo?”. La risposta era evidentemente di no.
Sto allora concludendo. Queste mie considerazioni sono nuove nel solo senso che non le ho mai lette da nessuna parte, quasi di sicuro perché so poco sull’argomento, e chiedo ai molti professori qui presenti di indicarci magari chi e dove ha scritto cose simili prima di me. Ed ecco, riallacciata alle premesse, la mia conclusione. Con l’argomentazione esposta, con molti altri ragionamenti e con tutto il suo agire Galileo ottenne all’inizio del 1600 il risultato di far accettare a tutta la comunità scientifica e quindi a tutto il mondo il fatto che le lenti del cannocchiale erano un aiuto, un potenziamento veritiero e non ingannatore della vista. Fu un progresso importantissimo per tutta la scienza e a posteriori anche per la fotografia, un risultato oggi quasi banale ma a quel tempo difficile da ottenere e niente affatto scontato. Il cannocchiale galileiano è stato il precursore dei moderni telescopi ed è stato il nonno dei teleobiettivi che noi usiamo oggi e quindi tra i tanti meriti di Galileo c’è anche questo: avendo dato a questi mezzi la dignità di farci vedere la realtà senza falsificarla ci permette oggi di fare con i teleobiettivi - e con tutti gli altri nostri obiettivi - delle fotografie che possiamo a tutti gli effetti dichiarare “realiste”, anche e soprattutto in fotografia di Natura e specialmente in fotografia astronomica.>>
Carlo Delli |