<<Questa non è una pipa>> scrisse Magritte sotto una pipa molto realisticamente dipinta. <<Questo non è un fiore>> potrei scrivere sotto la più semplice fotografia di un fiore da poter usare per un manuale di riconoscimento delle piante, ottenuta con un 50 mm a luce naturale senza la minima manipolazione. Rimango sconfortato tutt’oggi (agosto 2009! non 1909!?) nel dover dire in consessi di fotografi che una fotografia, anche la più documentaristica, non è realtà ma la sua rappresentazione tramite un mezzo tecnico. L’unico fiore reale rimane lì nel prato, se volete vedere un fiore reale dovete uscire di casa o dalla sala della mostra!!! Quando si parla di fotografia realista non è perché la fotografia è realtà, ma perché posso scattare con l’idea di riportare agli occhi del lettore una realtà e non una falsità; perché posso produrre fotografie con l’idea di rappresentare cose, animali, persone o situazioni senza ulteriori manipolazioni oltre i mezzi tecnici che sono braccia di un linguaggio particolare che ha però la mente applicativa nella mia mente, nella mia mente di persona prima e fotografo poi. E con quelle fotografie cerco di raggiungere altre menti per comunicare, per esprimere, per coinvolgere. Ma un linguaggio ha le sue regole che conducono in questo caso ad ottenere immagini anche diversissime dello stesso soggetto cambiando mezzo, punto di vista, momento di ripresa e cambiando soprattutto idea!; se si accetta questo bene, altrimenti semplicemente si parla d’altro, dedicatevi alla pittura, al modellismo o, classicamente, all’ippica. Ora so bene che i limiti tra reale e fantastico, tra originale e manipolato non sono di semplice collocazione ma per questo rimando all’articolo “Rapporto tra tecnologia digitale e fotografia realista” dove ne parlo in parte. Ricordiamoci anche che se non è reale l’oggetto rappresentato sono invece reali l'emozione e le riflessioni che una fotografia può suscitare nell’osservatore. Questo potere è secondo me più grande ed eleva la fotografia sopra le altre arti figurative se, come nella fotografia di Natura e nei grandi filoni del reportage sociale e del fotogiornalismo, l’idea che spinge l’autore lo obbliga a rappresentare la realtà non manipolata, anche se questa rappresentazione viene fatta poi nella maniera più particolare e personale possibile. Chiunque mostri le sue opere ha uno scopo comunicativo, fosse pure il più futile. Il valore di un'opera sta nella sua capacità di comunicare e le questioni intorno all'arte sono secondarie. A parte il cinema solo in fotografia per rappresentare un oggetto occorre averne uno reale davanti! e dopo “lo scatto” si può scegliere di avere alla fine una immagine fedele per quanto il mezzo lo consente (si chiama “fotografia”!) o manipolare e stravolgere la fotografia fatta, usando estro e fantasia e ottenere qualcos’altro, magari per qualcuno di valore ancora maggiore (si chiama “immagine”). Nel primo caso abbiamo il privilegio di narrare o simboleggiare e al tempo stesso documentare, cioè di "documentare in maniera artistica" (mi prendo la responsabilità di questo concetto) e questo è un PLUS, un arricchimento della forma espressiva, non un minus. Attenzione: non sto dicendo che il fotografo ci riesca sempre - anzi! - ma che ha la possibilità di riuscirci, e quando questo avviene ne deriva una grande opera, quanto meno irripetibile. Quindi anche se non è realtà, ciò che viene rappresentato dal fotografo realista è guidato dall'idea di realtà e più in particolare una realtà con le minori manipolazioni possibili e dall'idea di verità. I termini "realtà" e "verità" sono controversi, ma già "la concezione di Cartier-Bresson si fonda sull'assunto che la fotografia è in grado di riprodurre fedelmente la realtà e che in essa si nasconde la possibile verità" (R. Mißelbeck) e per chi vuole approfondire raccomando le opere di Karl Popper (il libro più semplice per iniziare è "Alla ricerca di un mondo migliore", una raccolta di conferenze). Devo allora parlare contro quella disgrazia che è il relativismo. In filosofia non è fondamentale arrivare alla verità assoluta, si può infatti distinguere se una teoria è più vicina di un altra alla verità e quindi esiste un reale criterio di verità (Popper, appunto), e così è anche in fotografia. Ma il relativista dirà: "Fotografiamo il sole al tramonto: in ogni istante il suo colore cambierà, non ci ricorderemo la sua tonalità al momento dello scatto, senza parlare del fatto che non lo vediamo con gli occhi ma con certe aree cerebrali; inoltre il colore dell'immagine sarà diverso a seconda della qualità dell'obiettivo ed ancora più se cambio tipo di pellicola; se poi faccio sviluppare il film da tre laboratori diversi avrò tre colori diversi e non è tutto perché se faccio stampare tre volte ogni diapositiva avrò ogni volta tre tonalità diverse. Alla fine avrò decine di colori diversi e quindi non ho la minima possibilità di rappresentare la realtà perché non possono esistere decine di realtà, o ce n'è una sola o non ce n'è nessuna". Se accettate questa apparente ragionevolezza il relativista vi convincerà presto che rappresentare il sole rosso-arancio oppure a strisce verdi e celesti è la stessa cosa. Così potrà convincervi di altre sciocchezze: ad esempio vi potrà far vedere un milione di passaggi dal bianco al nero accostando i quali a due a due non potete distinguere nessuna differenza e vi dirà che il bianco e il nero sono uguali. Alla fine vi dimostrerà come non ci sia differenza tra verità e falsità e tra il bene ed il male. Questo non è un gioco o uno scherzo, è una cosa tremendamente tragica sostenuta da fior di filosofie e pregiudizi di tal genere sono più o meno presenti in molti di noi. Essi derivano dalla falsa credenza che si possa raggiungere una certezza ed una verità assolute, mentre invece noi possiamo "solo" distinguere, e non è poco, se un concetto è meno falso e quindi più vicino al "reale criterio di verità" di un altro. Noi possiamo avere convinzioni ben motivate e una fede, mentre le certezze importanti non sono di questo mondo; questa non è una disgrazia ma una fortuna. Anche nel piccolo campo dell'arte e della fotografia è così. C'è chi ci vuole "imbrogliare" ed ammetto che molti amano farsi imbrogliare perché l'idea di verità e quella della bellezza nella realtà sono pesanti da accettare. Ma tra il sole rappresentato un po' diverso da come lo percepivo nel momento dello scatto ed un sole a strisce verdi e celesti, la differenza è sostanziale: il primo è molto meno falso e quindi più vero del secondo e come fotografo realista cercherò di farlo meno “falso” cioè più vero possibile. Ancora attenzione: non dico che non sia interessante o bello fare il sole a strisce, dico che non solo non è una realtà ma che non è nemmeno una rappresentazione della realtà. Ma ci sono ragioni più forti contro la fotografia di Natura e non li nascondo. A) Prima di tutto l'apice dello spirito di questo genere di fotografia è così alto da essere, pur nel dominio della ragione, quasi religioso; questo è controproducente. Riuscire infatti a far riflettere sul nostro rapporto con l'Universo e sull'accettazione in esso della nostra la vita, può essere una pretesa troppo ardua per una "semplice" serie di fotografie e soprattutto se è un'impresa troppo ardua per le menti che dovrebbero rifletterci sopra. Lo spirito della fotografia di Natura è positivo, ma la Natura non ha niente di morale o di immorale chiaramente scritto in sé, ed il messaggio che ci può dare riguarda un problema così basilare del nostro essere personale che è anche a monte dei problemi morali e sociali del mondo umano. Questo problema molti di noi non l'hanno risolto e ne deriva l'incomprensione del significato "personale" della fotografia di Natura e quindi questa è una reale e valida difficoltà ad apprezzarla in pieno. È un peccato, perché dal lato formale ci sono delle immagini veramente impressionanti che niente hanno da invidiare ma hanno anzi molto da insegnare a qualsiasi altro genere di fotografia. B) Nell'Homo sapiens esiste un forte spirito indagatore, un potente istinto di curiosità, e noi siamo spesso portati a cercare qualcosa di nuovo: se l'idea che muove il fotografo è sempre la stessa, per quanto sia grandiosa può sembrare sorpassata e divenire noiosa, se non per il pubblico per molti "addetti ai lavori" e per molti critici (anche se io mi chiedo se lo spirito della fotografia naturalistica sia stato davvero sfruttato a dovere). Io ritengo giustissimo che fantasia e creatività "pura" si esprimano e che l'essere umano sia attratto e si avventuri nelle novità. Tuttavia: 1°) Non ogni novità è un progresso. La troppa voglia di novità, che nasce anche dall'incapacità di apprezzare in pieno i valori positivi che già esistono, porta spesso ad esaltare banalità o cose prive di ogni significato degno di essere chiamato tale. Penso che molti esperti siano troppo neofilici, troppo amanti del nuovo, ed al tempo stesso poco attenti al fatto che ci sono ancora da scoprire molte novità anche in "vecchi" generi artistici. D'altra parte anche una neofobia - paura del nuovo - esagerata non è auspicabile. 2°) Fantasia e ragione devono essere bilanciate: la ragione deve tenere a freno la fantasia senza incatenarla, favorirla senza esserne però ridicolizzata perché ridicolizzando la ragione ridicolizziamo noi stessi. 3°) E’ difficile trovare un fotografo che non ricerca qualcosa, ma se la ricerca è davvero tale, a forza di ricercare ci sarà stato e ci sarà qualcuno capace di trovare finalmente qualcosa di buono!? E se lo trova dopo tanta fatica che fa? Forse che il mese dopo lo ha già gettato via? Quando io ho trovato il senso del mio fotografare ho smesso di ricercare ed ho cominciato ad esplorare il mondo che avevo scoperto. E gli altri che fanno? Scoprono l'America e senza esplorarla si mettono a fabbricare scale per arrivare primi sulla Luna? Chi scopre davvero un suo mondo lo esplorerà a lungo, se è valido ed interessante. Ebbene ci sono dei mondi, come quello della fotografia naturalistica, che hanno un significato così alto ed un campo di esplorazione così vasto che possono ben assorbire una vita intera. Si potranno sì trovare validi motivi per intraprendere altre ricerche, ma anche buoni motivi per rimanere sulla stessa strada (senza per questo smettere di guardare le altrui ricerche e soprattutto le altrui esplorazioni). Un'osservazione finale per richiamare il messaggio generale della “nostra” fotografia. Per gli animali è un obbligo esplorare un solo mondo, quello materiale. Gli umani hanno lo stesso obbligo per due mondi reali, quello materiale e quello mentale-spirituale, non in contrasto ma strettamente legati tra loro, tanto che esploriamo quello materiale servendoci anche e soprattutto di quello mentale-spirituale (e così in una foto esiste un segno - il materiale “significante” - che ci può dare delle emozioni dirette ma che possiamo anche esplorare con la mente per cercarvi un'idea – il “significato”-). Da sempre l'Homo ha così due specie di rapporti con il mondo: lo contempla o lo manipola. Né l'esagerata contemplazione né l'esagerata manipolazione del mondo vanno bene e credo che esso vada contemplato e manipolato. Ma la manipolazione è sempre esagerata quando non è accompagnata da un'adeguata contemplazione ed in questo momento dello sviluppo umano stiamo forse facendo dei danni inimmaginabili che richiameranno catastrofi proporzionatamente devastanti. In questo quadro lo spirito della fotografia di Natura richiama ad una contemplazione della realtà e del mondo che indirizzi meglio la manipolazione che del mondo stesso possiamo fare. Il fotografo naturalista non deve essere un manipolatore ma un "moderno" contemplatore della Natura che si serve anche dei mezzi tecnici che la sua epoca gli mette a disposizione per registrare almeno una piccola frazione di ciò che la sua contemplazione offre. L'eccesso di contemplazione comporterebbe forse una società più "povera" (almeno secondo la sguaiata misura della nostra società occidentale), ma credo che vi si potrebbe cercare la serenità e la felicità con la fondata possibilità di trovarle, mentre un eccesso di manipolazione porterebbe forse al disastro o, nella più rosea delle ipotesi, a nessuna serenità più spessa di un biglietto di banca. “Contemplare il mondo senza manipolarlo è da sciocchi, manipolarlo senza contemplarlo è da pazzi”. Termino con le parole di Denis Brihat e di John Show. Il primo: << L'evidenza riempie talmente gli occhi che rende ciechi. La fotografia è l'Arte dell'Evidenza. Una forma d'arte che mostra e può far comprendere ed amare la bellezza delle cose più umili, ha una grande importanza sociale.>> Il secondo: <<Siamo circondati dalla bellezza e dalla vita in un mondo meraviglioso. Se solo avessimo il tempo di osservare ciò che ci circonda e ci permettessimo di sentire profondamente e semplicemente, nel più piccolo dettaglio potremmo trovare una serena armonia, nel più grande esaltazione e gioia. Possiamo scoprire significati e valori avendo cura della Terra e delle sue creature.>> carlodelli; dicembre 1998, rivisto nell’agosto2009 |