Fotografia e realtà Ho già scritto molto sul rapporto unico e privilegiato della fotografia con la parte visiva della realtà e sulle differenze tra “fotografia” e “immagini fotoprodotte”.
Ho anche portato spesso a esempio i grandi risultati ottenuti dall’umanità tramite la fotografia in campi fondamentali quali la medicina, l’astronomia, la fisica, etc., risultati che da soli dimostrano senza dubbio il rapporto privilegiato tra fotografia e realtà.
Già nel 1878 una famosa serie di fotografie, quella di Muybridge sulla corsa dei cavalli, dimostra l’aderenza della fotografia alla realtà: nessuno disse e dice che i cavalli non corrono così e quindi che quelle fotografie dicono il falso, al contrario, si seppe che il cavallo corre così perché ce lo mostrano quelle fotografie, anzi ce lo “dimostrano”!
Per lo stesso principio nel 1927 sono state delle fotografie che ci hanno fatto scoprire e hanno DIMOSTRATO senza ombra di dubbio che c’erano molte altre galassie oltre la nostra! Nel 1951 fu con una fotografia che si capì come era fatto il DNA… e potrei continuare per giorni… la fotografia può dimostrare eccome, non sempre ovviamente lo fa, ma ha in sé il potere di farlo.
Nel rapporto tra fotografia e realtà il problema più grande da risolvere non è cosa sia la fotografia ma cosa sia la realtà!
La fotografia è o può essere rappresentazione della realtà visiva tramite il linguaggio fotografico, il solo tra quelli più comuni e diffusi, compreso il più importante, la parola parlata o scritta, ad essere un “indice”, cioè uno stampo fisico e diretto della realtà stessa.
Vediamo cosa vuol dire questo in pratica prendendo proprio il linguaggio della parola. In quanto parola, udita o vista scritta, “albero” come parola è un simbolo. E in quanto simbolo, per essere compreso occorre obbligatoriamente che una persona abbia tutta una serie di nozioni e competenze apprese culturalmente. Capite bene la conseguenza di tutto questo: se sono italiano lo capisco cos’è un “albero”, ma se sono russo, cinese, arabo, indiano, inglese, tedesco, etc. etc. etc., e non ho studiato la lingua italiana, io sento un suono o vedo dei segni per me assolutamente incomprensibili: sono simboli che non so decifrare.
Ma che io sia russo, cinese, arabo, indiano, inglese, tedesco, o di qualsiasi altra nazionalità, SE VEDO LA FOTOGRAFIA DI UN ALBERO lo capisco sùbito con cosa ho a che fare! Non solo, ma ho tutta una serie di indicazioni su quell’albero, oltre a certificare (per dirla alla Barthes) che esiste o è esistito realmente. Questo perché la fotografia è un INDICE!
Per brevità non parlo qui del fatto che anche un dipinto di un albero è universalmente riconoscibile pur non essendo un indice, ma cambia la qualità delle informazioni contenute.
Eravamo partiti dicendo che nel rapporto tra fotografia e realtà il problema da risolvere è cosa sia la realtà, una domanda immensa, alla quale tentiamo di rispondere da millenni. Ma esiste davvero la realtà? Partiamo considerando, con i pregi e i difetti di un riassunto estremo, quattro diverse opposizioni alla effettiva presenza della “realtà”.
1- C’è chi dice che LA REALTÀ NON ESISTE perché NON È DEFINIBILE, o comunque non è univocamente definibile.
Bene. Ma nemmeno la vita è ben definibile, quindi… non esiste? Per il termine “vita” non c’è ancora una definizione univoca e onnicomprensiva. Qualsiasi definizione sia data ci sono eccezioni che le sfuggono: per le definizioni troppo “larghe” ci sono entità che pur essendo sicuramente non vive vi rientrano, come certi cristalli, mentre per quelle troppo “dettagliate” entità sicuramente vive non vi rientrano. E i virus sono “vivi”? Non c’è risposta univoca.
La vita non è quindi esattamente definibile: ora ditemi se ciò porta alla conseguenza che la vita non esiste, e che quindi voi non siete vivi! La vita esiste certamente anche se non la sappiamo definire con esattezza, ed è così anche per la realtà.
2) Alla presenza di un mondo reale si oppone l’IDEALISMO, il quale sostiene che tutto ciò che proviamo in questa vita è frutto della nostra immaginazione personale. Per quanto possa apparire assurdo, l’idealismo è inconfutabile: tutto ciò che possiamo escogitare e dire per confutarlo sarà tacciato dagli idealisti come qualcosa che ci immaginiamo. Nemmeno con i mezzi automatici non soggettivi, come può essere la fotografia, si può confutare. Se quest’auto è da me immaginata e non reale, potrei fotografarla: solo se l’auto è da me indipendente, persone non al corrente vedranno poi tutte la stessa auto nella fotografia, dimostrando appunto che questa è reale e oggettiva… ma l’idealista vi dirà che siete voi che vi immaginate esistano gli altri, e vi immaginate anche che tutti vi dicano la stessa cosa. Che dite, vi sentite una mia immaginazione o esistete pur se non vi guardo e non vi penso? Comunque sia non mi interessa un accidente se l’intensa emozione positiva che sento nell’abbracciare una persona cara o l’intensa emozione negativa che ho nel perderla, sono immaginari nel senso dell’idealismo oppur veri nel senso del realismo, so che li provo e hanno per me lo stesso identico effetto, quindi anche per questo l’idealismo è irrilevante.
3) Figuriamoci se non c’è stato nell’antica Grecia chi si è opposto al realismo. Il caso più notevole è quello della Scuola Eleatica, cioè di Parmenide e del suo discepolo Zenone. Il paradosso più famoso per dimostrare che la realtà è un’illusione è quello di Achille e la tartaruga: se il tempo e lo spazio non sono un’illusione Achille non prenderà mai la tartaruga. Infatti per percorrere lo spazio che lo separa dalla tartaruga Achille impiegherà un certo tempo, ma in quel tempo la tartaruga si muoverà, poco ma si muoverà, quindi percorrerà una distanza, e Achille dovrà percorrere questa ulteriore distanza, ma per percorrerla impiegherà del tempo e durante quel tempo la tartaruga percorrerà un’altra pur piccola distanza, e così all’infinito: Achille non prenderà mai la tartaruga. Ora, in quella che noi chiamiamo realtà Achille la prende eccome la tartaruga. Cosa si può dedurre da questo? Ovviamente che il ragionamento di Parmenide è sbagliato. Ma, insondabile profondità di certe menti umane, lui concludeva invece che la realtà non esiste, è una nostra illusione.
Tra l’altro il problema ha trovato una soluzione nella fisica quantistica: la distanza che percorre la tartaruga non si può dividere all’infinito, un’ipotesi che era molto più plausibile della non-esistenza della realtà, e prospettata infatti, già a quel tempo, dagli atomisti Leucippo, Democrito, Epicuro.
Tutto questo dimostra anche a quali errori e stupidaggini può arrivare la mente umana per sostenere idee preconcette.
4) Accenno a un’altra obiezione alla realtà che mi capita di sentire spesso a causa di altre scoperte della fisica quantistica. Si dice che la realtà non esiste senza l’osservatore, a causa sia del PRINCIPIO di INDETERMINAZIONE di Heisenberg, sia del famoso esperimento della “doppia fenditura”. Sono speculazioni false.
Il principio di indeterminazione dice semplicemente che non si può conoscere allo stesso tempo posizione e velocità di una particella, NON che la particella non esista. È vero che io non posso sapere tutto sulla particella ma è altrettanto vero che LA PARTICELLA PER ESISTERE REALMENTE NON HA BISOGNO CHE IO SAPPIA TUTTO DI LEI. Così come per la vita e per la realtà.
Nella “doppia fenditura” si è constatato invece che una particella, ad esempio un fotone, diretto verso due fenditure passa contemporaneamente attraverso entrambe, comportandosi così come un’onda; ma se invece lo “osservo” passa per una sola fessura, comportandosi cioè come una particella. Per illustrare questo fenomeno si vedono però dei disegni con un occhio umano che guardando il fotone lo tramuta da onda a particella; e si dice che la particella non esiste se non viene guardata. Questa è una stupidaggine assolutamente ingannevole. Il punto è che “osservare” il fotone non significa affatto “guardarlo”, non si può vedere un fotone col nostro occhio! Ma scherziamo?! Eppure ci viene propinato il disegno di un occhio, e molte persone ci cascano! “Osservarlo” significa niente di meno che “bombardarlo con raggi x o gamma”! L’atto del guardare, così come viene fatto intendere, non c’entra niente.
E poi la parola “particelle” è fuorviante, dovremmo dire “ENTITÀ”. Sono entità per noi umani essenzialmente incomprensibili. Non abbiamo i sensi adatti a comprendere entità così piccole, possiamo solo cercare di immaginarcele. Una singola entità ha solo delle probabilità di esistere in un certo momento e in un certo stato, ma queste probabilità sono esattamente misurabili e infatti LA MECCANICA QUANTISTICA FA DELLE PREVISIONI DI UNA PRECISIONE SBALORDITIVA DEL MONDO REALE, proprio quel “nostro” mondo, fatto di macro-aggregati di atomi e molecole.
Passiamo oltre, anche perché va detto che per moltissime altre visioni filosofiche e religiose del mondo la realtà esiste, eccome. Ma la realtà viene percepita da tutti gli esseri viventi prima con alcuni sensi e poi con l’elaborazione neuronale di ciò che i sensi trasmettono alle cellule nervose. Nel caso dell’Homo l’elaborazione viene fatta soprattutto nel cervello, ma non solo, ci sono altri aggregati di cellule nervose, soprattutto nella zona addominale. Ma gangli, cellule e cervelli sono solo il substrato materiale di questa percezione, che diviene presente col pensiero, prodotto delle nostre menti o coscienze.
Per accedere alla realtà abbiamo due livelli materiali, organi di senso e tessuti nervosi, e un livello immateriale, il pensiero, supportato da ciò che chiamiamo “mente”. La cosa è ulteriormente complessa perché abbiamo più di una mente, ne abbiamo tre, ma non discutiamone qui.
Ciò che noi alla fine chiamiamo realtà deriva dalle decodificazione che fa il nostro personale pensiero delle informazioni che gli organi di senso ricevono dall’ambiente. Possiamo ben dire che ognuno ha la sua realtà soggettiva, ma questo è banale. L’importante è sapere che sì, ognuno percepisce una sua realtà, ma ciò NON significa affatto che non esiste una realtà oggettiva, è proprio il contrario: ogni essere ha una sua visione parziale (ma sufficiente!!!) della realtà, la cui PERCEZIONE TOTALE È PRECLUSA A CHIUNQUE.
Ma di nuovo: non conoscerla tutta non significa che non esiste! Dire che non esiste una realtà oggettiva perché ognuno ha la sua visione della realtà, è una conclusione superficiale e inconsistente. Ricadiamo nel caso di Parmenide: ci fa comportare da sciocchi per dimostrare quanto siamo intelligenti. La questione è semplice: OGNI CREATURA HA LA SUA VISIONE SOGGETTIVA E PARZIALE DI UNA REALTÀ OGGETTIVA TOTALE.
Restiamo su questo punto. Il primo passo per capire la realtà sono i sensi. Con sensi diversi, esseri viventi diversi vedono NON realtà diverse ma percezioni diverse, anche MOLTO diverse, di una stessa realtà oggettiva.
Correntemente si dice che un lombrico ha una realtà diversa dalla nostra, ma questo non è vero, questa è una maniera scorretta di parlare. Il lombrico accede con la sua fisicità, coi suoi sensi e col suo sistema percettivo, a una porzione di realtà che è ben diversa dalla nostra, ma che appartiene comunque alla realtà oggettiva nel suo insieme. Il lombrico non ha accesso a tutte le nostre esperienze, ma è anche vero che noi non abbiamo accesso a tutte le sue. Ma se ci pensiamo bene questa è una ovvietà. Ognuno può sperimentare solo la realtà accessibile alla sua fisicità, ai suoi sensi, al suo sistema nervoso, e a tutte le esperienze, sia generali della sua specie sia sue personali: questo è normale e “naturale”.
In noi umani interviene poi qualcosa in più, molto diverso dall’evoluzione naturale, noi siamo fortemente sottoposti all’evoluzione CULTURALE, quello che impariamo per mezzo della cultura segna grandemente il nostro modo di vedere, valutare e di affrontare il mondo.
Ma torniamo alla fotografia. Tra tutti i sensi che abbiamo, la fotografia si serve SOLO della vista. MA LA VISTA È DI GRAN LUNGA IL PIÙ IMPORTANTE DEI NOSTRI SENSI.
Soffermiamoci poi su questo. Stiamo fotografando una strada con gente e traffico. Sapere che ciò che ci mostra la fotografia è solo una porzione della realtà che sta lì intorno NON dimostra assolutamente che ciò che si fotografa non sia realtà visiva. Siamo di nuovo a dire che stiamo osservando solo una parte della realtà.
Ma qui rilancio con forza: questo di vedere/percepire/registrare solo una parte del tutto è UNIVERSALMENTE NORMALE. Quando è che vediamo TUTTO il mondo attorno a noi!?! Risposta facile: MAI! Proprio mai! Guardo la strada e vedo DAVANTI a me, solo davanti, vedo molto male ai lati e non vedo niente dietro, niente sopra, niente sotto! E se mi volto indietro, in su o in giù non cambia nulla, io vedo sempre solo una parte di realtà!
Noi, tutte/i noi, abbiamo SEMPRE una INQUADRATURA del mondo mentre viviamo!!
Non solo, ma di ogni cosa o persona vediamo solo la porzione rivolta verso di noi, non vediamo niente né di come sono fatte dall’altra parte, né niente di tutto ciò che sta dietro di loro. Per di più, come già detto, la nostra percezione arriva dopo una lunga serie di passaggi che ci portano ad una comprensione personale della porzione di realtà che abbiamo intorno, comprese le nostre conoscenze e addirittura comprese le nostre aspettative! È ampiamente provato, e ne abbiamo più o meno tutte noi esperienza: spesso vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere, non quello che obbiettivamente abbiamo intorno!
Dire che la fotografia non è rappresentazione della realtà visiva perché ne mostra solo una parte è una stupidaggine... allora se faccio una foto con una angolazione di 360° - cosa che il linguaggio fotografico mi permette - dovrei allora dire che è più reale la rappresentazione fotografica di quella percepita da me stesso?!? Proprio no, la fotografia ha un suo linguaggio, basta conoscerlo: presentare con questo linguaggio una parte e non tutto di quello che ho intorno è la norma assoluta sia della fotografia che della vita reale.
Ciò che è più specifico del linguaggio fotografico non è l’inquadratura ma IL TEMPO!
È il fermare il tempo l’aspetto più importante, e direi drammatico in senso stretto, della fotografia. Il tempo è ciò che la distingue dal nostro vedere mentre viviamo, perché nel reale noi possiamo cambiare continuamente inquadratura girando gli occhi e la testa, e abbiamo una serie continua di inquadrature e un continuum di tempo che la fotografia non ha.
Questo modo di rappresentazione ha un altro nome, si chiama “cinematografia”. Se il linguaggio fotografico non vi piace dedicatevi al cinema, che rappresenta la realtà molto più estesamente della fotografia. Il cinema, aggiungendo il suono e soprattutto il movimento, si avvicina molto di più a “far vivere la realtà”.
Se si vuol fare fotografia occorre accettare il suo linguaggio, ma il bello è che LA FOTOGRAFIA HA FATTO DEI SUOI LIMITI LA SUA FORZA PECULIARE!! Nella famosa foto di Coppi e Bartali che si passano la borraccia, non si capisce chi la dà e chi la riceve, e su questo si è costruito un caso. Limite o pregio della fotografia.
Alcune parole sul colore. I colori sono reali ed esistono. Quante volte sento dire che se siamo in due a fare una foto nello stesso posto, siccome i colori delle due foto non sono mai identici ciò significa che un colore reale non esiste, e che la fotografia non rappresenta quindi nessun colore.
Non concepisco proprio come si possa passare dalla constatazione che il colore è un po’ diverso da foto a foto, alla conclusione che la fotografia non ha a che vedere con la realtà. Scusate ma non ci arrivo. La sabbia del deserto nella foto può variare, un po’ più arancio o un po’ più gialla, ma dov’è il problema? Le forme del paesaggio sono le stesse. Il colore della sabbia variava da un minuto all’altro, con la foto lo registriamo abbastanza fedelmente ma non è necessario una esattezza assoluta, per il semplice fatto che l’esattezza assoluta di per sé non esiste, non fa parte del nostro mondo comune. Tra l’altro oggi con le fotocamere digitali possiamo anche controllare sùbito se siamo abbastanza vicini a ciò che vediamo.
E poi, come ce lo ricordiamo il colore? Sfido chiunque a giurare su se stesso che è sicuro di ricordare lo stesso colore che ha percepito anche solo un’ora prima. Più facilmente tenderemo a ricordare il colore che ci piace di più.
Conclusioni simili ricordano quelle dei relativisti. Il relativismo è molto più pernicioso dell’idealismo e molte più persone vi abboccano, perché apparentemente non nega la realtà, bensì la riduce e scompone al volere soggettivo, negandola di fatto. Il relativismo è uno dei mali peggiori del pensiero “occidentale”. Il relativista dice: prendete un milione di sfumature che passano dal bianco al nero: se le mettete in fila e le prendete due a due non vedrete nessuna differenza tra una sfumatura e l’altra; fin qui il relativista ha ragione, ma approfitta di questo per concludere di aver dimostrato che il bianco e il nero sono la stessa cosa. E, attenzione, i relativisti applicano poi questo ragionamento al bene e al male! Non facciamoci ingannare, il nero e il bianco esistono entrambi e sono diversi, molto diversi, per i nostri occhi, per gli strumenti misuratori di lunghezza d’onda e per le macchine fotografiche.
Infine il fatto che con procedimenti fotografici si possano dire bugie è cosa vera e importante, ma successiva, è un “poi”. E soprattutto è una possibilità strettamente conseguente al fatto che la fotografia può RAPPRESENTARE la realtà visiva: SI FALSIFICA SOLO CIÒ CHE È VERO!
E il fatto che si possano dire bugie non significa che tutto ciò che sentiamo sia falso. Ma questo grande tema va affrontato in altra sede, insieme all’organizzazione della realtà oggettiva e alla enorme differenza tra verità e certezza, differenza che purtroppo pochi conoscono e che molti confondono, ma che Karl Popper ha mirabilmente precisato.
Finale. La realtà esiste e possiamo rappresentare la sua parte più importante, quella visiva, tramite il linguaggio fotografico, che è l’unico ad essere un “indice”. Per questo con la fotografia possiamo parlare di argomenti fondamentali per la vita umana. Come fotografe/i dobbiamo esserne fieri, ma tutto ciò ci dà una grandissima responsabilità, cerchiamo come persone di esserne degne. Se necessario portiamo pure nelle foto le nostre ansie e paure, ma solo per cercare di guarirle; portiamo se necessario le nostre denunce, ma solo perché servano a migliorare il mondo. E portiamo una visione positiva di noi stesse, delle altre persone, del Mondo, della Natura, dello Spirito Universale: è possibile, facciamolo!
carlodelli 2016/2018 |