Ho usato e uso queste osservazioni su fotografia e letteratura durante le presentazioni dei miei libri di liriche, fotografie e immagini. Gli incontri si avvalgono di una proiezione con ampia presentazione di immagini e testi. Questo è il riassunto più breve che son riuscito a scrivere, gli argomenti in verità sono immensi, direi interminabili…
FOTOGRAFIA, PROSA, POESIA E IMMAGINE
Ci sono modi diversi di mettere in relazione immagini e poesie in un libro?
Cos’è la fotografia e cos’è invece una immagine fotoprodotta? La risposta è chiara ma... il diavolo sta nelle sfumature. Cos’è la poesia e cosa la distingue dalla prosa? Domanda insoluta ma... percorribile.
Vi ringrazio per la stima che mi portate, testimoniata dall’importanza dell’argomento. Su questi temi sono ormai “vecchio” e con una certa esperienza editoriale sulle spalle, ma ho accettato di parlarvene perché terrete ben presente che molto di quello che vi dirò sono tesi altrui che semplicemente condivido, e perché sulle mie convinzioni possiamo discutere. . Queste considerazioni cominciarono in un salotto letterario, quindi in un ambito non fotografico, dove fu proposta questa possibile equazione: la prosa sta alla fotografia “vera” e realista, come la poesia sta alla fotografia modificata e quindi creativa. È davvero così?
Vediamo prima i rapporti nei rispettivi campi. Cominciamo dal campo fotografico. Siccome ci sono qui persone che hanno più dimestichezza con la poesia che con la fotografia, i fotografi mi perdonino se ripeto cose già dette. Intanto nella tesi proposta nel salotto letterario c’è un fondamentale e fatale errore: si dà per scontato che per essere “creativi” si debba modificare le foto, cosa totalmente falsa: si può ben fare fotografia creativa anche senza questo espediente. Già questo inficia la tesi proposta, ma proseguiamo. . Parlando di fotografia la prima cosa da sottolineare è che è stata una delle relativamente rare invenzioni così importanti da dividere la storia umana in un prima e un dopo: la possibilità di avere una rappresentazione “automatica” di quella parte di realtà percepibile attraverso il nostro senso di gran lunga più importante, la vista, è stata una novità sconvolgente. Per definirne l’essenza originale i semiologi dicono che la fotografia è un INDICE della realtà visiva, nel senso che per fotografare qualcosa bisogna averlo realmente davanti all’obiettivo, che il rapporto tra oggetto e rappresentazione è diretto, fisico, a ”stampo”, e viene appunto chiamato “indicale”. Questa è la caratteristica essenziale e unica della fotografia, ed è solo questo che ne fa un mezzo sconvolgente per una lunga serie di conseguenze nella vita umana, basti qui ricordare il rapporto drammatico che ha col “tempo”, per la proprietà del suo linguaggio di fermarne solo una piccola porzione. . La storia umana è cambiata. Tra migliaia di esempi: a causa della fotografia alcuni Stati hanno migliorato le loro leggi sul lavoro, alcune guerre hanno avuto un corso diverso, e pensate a Cuba quando si rischiò davvero una guerra nucleare: i russi di fronte alle fotografie aeree delle loro basi non dissero “non contano nulla, la fotografia non ha alcun rapporto con la realtà”, ma dovettero riconoscere di essere stati scoperti! La fotografia è una delle possibilità non di riprodurre ma di RAPPRESENTARE la realtà, ed è quindi ovvio che non coincida mai con la realtà, ci mancherebbe! È da stupidi solo pensarlo. Rappresentare significa “render presenti cose o fatti lontani nel tempo e nello spazio” e lo si fa attraverso un LINGUAGGIO, quindi se si usa il linguaggio fotografico questo va conosciuto e accettato, sennò usatene un altro: la parola scritta, il cinema, il disegno, la pittura, la scultura, etc. La scienza si serve ampiamente di fotografie, dall'astronomia alla medicina, usando dai telescopi ai microscopi, registriamo delle realtà visive che ci rivelano com’è fatto l’Universo o ci salvano da malattie!! . Dico una cosa forte: la fotografia in quanto tale non dice MAI bugie, sono i fotografi che possono, in infiniti modi diversi, farle dire bugie, prima, durante e dopo lo scatto. Le foto sono state alterate e falsificate dal giorno dopo la loro invenzione, ma attenzione, questo può essere usato in maniera fraudolenta ma vivaddio anche in maniera onesta. Possiamo alterare le fotografie per la sacrosanta voglia personale di creare immagini che non esistevano prima. Gli artisti hanno sùbito visto questa meravigliosa possibilità, e il digitale ha reso questo molto più facile, favorendo così chi ha idee.
Ora però, siccome ciò che rende unica la fotografia è la sua “indicalità”, il rapporto “a stampo” con ciò che è davanti all’obiettivo, NON è per me giusto usare lo stesso termine con una fotografia “alterata”, dove il rapporto di indicalità è interrotto, preferisco chiamarla IMMAGINE FOTOPRODOTTA o più sinteticamente fotoprodotto. . Il termine ALTERAZIONE è esatto: non ha, attenzione, connotazione negativa, il suo significato deriva dal latino “alter”, cioè “rendere altro”, un fotografia alterata è cioè qualcosa di “altro”, non è più una fotografia ma è una immagine ottenuta partendo da una fotografia, è appunto una “immagine fotoprodotta”. . Quale la differenza tra le due? La fotografia rappresenta ciò che è stato fotografato: il fotografo se ne serve per trasmettere le sue idee, il suo modo di vedere il mondo, ma mantiene comunque la sua essenza anche negli scatti più creativi, evocativi, simbolici, astratti. Invece il l’immagine fotoprodotta NON rappresenta più la realtà visiva ma soprattutto o solo il suo autore, le sue idee, il suo modo di vedere il mondo. Si perde l’indicalità e il linguaggio diventa soprattutto o solo simbolico. . Questa differenza è essenziale. Se a qualcuno non interessa sapere che cosa vede rappresentato, ne prendo atto, ma voi prendete atto che invece a me interessa, e parecchio. Se vedo un reportage dal contenuto importante mi interessa sapere se è un vero reportage, se è una elaborazione digitale, o se è una messa in scena; i fotografi del National Geographic scoperti nel taroccare le fotografie di reportage sono stati licenziati e il magazine si è scusato coi lettori, vivaddio! . Attenzione: non sto dicendo che una modalità è più importante o degna dell’altra, no, ma che sono cose dal significato diverso. Posso alterare delle fotografie e servirmene degnamente per porre l’attenzione su un problema importante, basta che la manipolazione sia evidente o chiaramente dichiarata, perché non è vero che il fine giustifica i mezzi, anzi, dire bugie per uno scopo nobile può danneggiare lo scopo stesso!
Questa però è la teoria. In pratica a volte è lampante che quel che vediamo è una immagine fotoprodotta, ma tante altre volte il limite è incerto. Dalla foto naturalistica e di reportage, passando per tanti altri generi, fino al nudo o alla moda, i casi sono infiniti e non è facile districarsi. Ma ciò è stimolante: conoscendo la netta differenza teorica tra fotografia e immagine fotoprodotta, ci possiamo poi divertire a discutere, a farci ogni volta un parere personale mettendo in gioco le nostre idee, la nostra cultura, le nostre inclinazioni. . Ha inoltre grande importanza l’ambito nel quale le immagini vengono presentate: in un portfolio, una mostra, un libro, un post, con un articolo, per completare un’informazione, e tanti altri modi che incidono profondamente sull’importanza dell’eventuale alterazione.
La fotografia è stata importante nella mia vita, perché ha contribuito a farmi trovare un senso positivo all’esistere. È forse il successo più importante, lo auguro a tutte voi, persone, ma comporta la considerazione profonda della realtà e la sua accettazione. Questo senso positivo è legato infatti al vivere reale, che comprende certo anche il saper sognare e immaginare, ma che col reale alla fine sempre si rapporta. Fantasticare è una facoltà essenziale dell’essere umano, e fantasticare è come volare o andar per mare: è bellissimo, ma… noi siamo animali terrestri, se abbiamo un porto sicuro possiamo divertirci a volare e navigare, ma se voliamo e navighiamo perché a terra siamo disperati, disperati torneremo, e disperati resteremo anche volando e navigando. Con la fotografia posso rappresentare il reale visivo con un rapporto direttissimo, posso unire reale e fantastico, prosa e poesia, umano e divino: una efficacia eccezionale per rappresentare la realtà visiva e non solo.
Vediamo invece il rapporto tra poesia e prosa. Cari miei, qui il limite non solo da oltre un secolo non è più chiaro in mille casi pratici, ma secondo me non c’è nemmeno una distinzione teorica netta. Come ce la caviamo allora? Benissimo, perché nonostante questo, in letteratura è tutto più semplice, vediamo perché. . Partiamo da una autorità, il Devoto-Oli, che definisce la poesia come “espressione metaforica di contenuti umani in corrispondenza di peculiari schemi ritmici o stilistici, contrapposta tradizionalmente alla prosa”. Le parole più interessanti sono “espressione metaforica” e “ritmici. Io noto però due difetti: 1) da più di un secolo la poesia non è più solo questa, è ormai molto diversa, da Ungaretti in poi gli schemi ritmici non sono più “peculiari” ma variabilissimi; 2) non si tiene conto di una cosa fondamentale: ciò che la poesia suscita o dovrebbe suscitare in chi la legge e/o l’ascolta.
In maniera del tutto personale indico tre punti per stabilire se ciò che avete davanti sia poesia o prosa. Il primo sono le parole stesse e la loro successione. La poesia, come dice il Devoto-Oli, si esprime non direttamente ma con metafore e altre figure come l’ossimoro, la sineddoche, etc. Inoltre la poesia dovrebbe usare, rispetto alla prosa, una grammatica “scorretta”, per mettere l’accento su certe parole o gruppi di parole, per dare un ritmo particolare, per fare rime e assonanze alla fine ma anche all’interno dei versi.
Il secondo riguarda la più appariscente differenza tra la poesia e la prosa. Che cos’è che distingue sùbito, anche a una prima occhiata, le due modalità di scrittura? Sono evidentemente gli accapo! Nella poesia si interrompe la frase prima del bordo destro del foglio, e nella poesia “classica” questo ha la funzione di mantenere lo schema scelto, scandire la metrica, esaltare le rime ponendole alla fine del verso. Il metro di gran lunga più importante della poesia italiana è l’endecasillabo, usato ad esempio nella Divina Commedia, ma è stato molto usato anche il settenario, molto più facile da “gestire”. . Ora, come detto, da più di un secolo a questa parte non ci sono più schemi e quindi come si va a capo? Che significato ha andare a capo? La regola data dal Maestro Federico Maria Sardelli nel suo esilarante e profondo Proesie (Livorno, 2004): “In assenza di qualsiasi norma metrica e ritmica il poeta contemporaneo forma i versi col sistema Randazzo, grazie al quale si va a capo a cazzo”, spesso mi pare purtroppo vera, o forse sono io così limitato da non riuscire a capire il senso degli accapo, anche in autori ritenuti importanti. . Propongo un semplice sistema per testare ciò che leggete: prendete poesie come L’infinito e riscrivetele come prosa, cioè senza andare a capo, e poi leggetele: ebbene sentirete che rimangono poesie, eccome! E non credo che sia dovuto al fatto che vi ricordate come è scritta in originale. Applicate questo metodo su una poesia nuova: l’avete scritta senza gli “accapo” e leggendola vi sembra una prosa? Allora è prosa! non è poesia. Semplice. . Per inciso nei miei scritti gli accapo, oltre che servire a rispettare una metrica e dare un ritmo, indicano sempre una pausa nella recitazione, e cercano inoltre di creare una certa aspettativa nel significato.
Il terzo aspetto è difficile da spiegare ma è forse il più importante: cosa “sentiamo” di fronte a uno scritto? Ciò ha a che fare con la musica. Nella culla della nostra civiltà, l’Antica Grecia, musica e poesia coincidevano. Ditemi se non è così: se ci piace un brano musicale lo ascoltiamo e riascoltiamo volentieri, anche per la centesima volta in vita nostra. Ora, una volta letto un racconto, anche se mi è piaciuto, non lo rileggo tre volte di fila, mentre una poesia che mi è piaciuta la rileggo e rileggo con piacere, è come riascoltare più volte una canzone, trovandoci dentro ogni volta qualcosa di diverso o qualcosa in più, rinnovando il piacere del ritmo, della cadenza, della... musica! . La poesia ci attira dentro le parole e ci fa sentire immersi in una magia auto-evocativa, immaginifica e reale allo stesso tempo, causata non solo dal significato, metaforico o reale con tutte le sfumature possibili, ma anche dai suoni stessi. Significato e suoni insieme formano qualcosa che forse si può definire solo con una parola indefinibile: poesia!!! Se quel che leggiamo non ci dà emozione, non ci dà la voglia di rileggere, siamo di fronte a prosa, o prosa poetica; ma può succedere il contrario: ci sono brani scritti come prosa ma mentre li leggiamo pensiamo: “ma questa è poesia!”.
Al di là però di tutto questo, per la scrittura la mia tesi principale è questa: cercare di distinguere se un’opera scritta sia prosa o poesia può essere sì un esercizio divertente ma è fondamentalmente inutile! Infatti se distinguere tra fotografie e immagini fotoprodotte è importante perché rappresentano cose diverse, non è così per prosa e poesia, che rappresentano comunque l’Autore, che se ne serve per esprimere le sue idee e la sua visione del mondo. Sono cioè modalità diverse per rappresentare le stesse cose. Possiamo com’è ovvio distinguere tra rappresentazioni di realtà o rappresentazioni fantastiche, ma questo si può fare indifferentemente sia per la poesia che per la prosa. Riemerge insomma – non potrebbe essere altrimenti – la possibilità, che è solo della fotografia, di essere un “indice”, ciò che non può mai essere il linguaggio scritto. . Per quanto riguarda invece l’efficacia dei diversi linguaggi, a seconda dei casi sarà più funzionale la parola che la fotografia o viceversa, ma ricordiamo bene che spesso le due forme possono coesistere e rafforzarsi a vicenda, anche grandemente.
Infine un’importantissima osservazione. Siete voi che stabilite se quello che è scritto è prosa o poesia, e nessuno può dirvi che avete torto, qualcuno può solo dirvi che la pensa in un altro modo. Davanti a una immagine è invece molto diverso: càpita spesso, ormai sempre più frequentemente, che se quello che vedete è una fotografia oppure è una immagine fotoprodotta ve lo può dire solo l’Autore… se non mente. Capite bene che questo inserisce una problema radicale, a volte irrisolvibile. Nella società delle immagini ingannare è diventato facilissimo, ma che strumenti abbiamo per non fare la figura del pesce che abbocca? Spesso nessuno. E in questo senso è vera la recente affermazione di Salgado che la fotografia è moribonda se non morta: non possiamo infatti più sapere se quello che vediamo è una fotografia oppure no.
Spero che vi siate riconosciute in alcune delle idee qui espresse sui due linguaggi considerati o, forse meglio, che il non esservi riconosciuti in esse vi dia spunti di riflessione. Spero ancor più che quello su cui abbiamo discusso vi porti ad usare con maggiore consapevolezza questi mezzi di rappresentazione, di comunicazione e di espressione della vita. Ma la speranza maggiore è che tutto questo serva per una crescita personale e collettiva: se lo si dimentica, come a volte purtroppo accade, abbiamo, nella migliore delle ipotesi, perso tempo. . carlodelli 2015/2017
Questo scritto, più degli altri, è in fase di elaborazione e miglioramento, chi avesse dei suggerimenti da darmi è comunque ben accolto, e può scrivermi attraverso questo sito o a
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