FOTOGRAFIE e IMMAGINI FOTOPRODOTTE
Una proposta terminologica
Come siamo diventati Homo sapiens sapiens ? Con un modo nuovo di camminare: il bipedismo perfetto. La mano, libera dalla deambulazione, ha iniziato ad illuminarci la mente, ma sono state poi le parole che formando il nostro principale linguaggio l’hanno finalmente accesa. È propriamente vero che il Verbo ci ha creati! Siamo quali siamo per il nostro linguaggio verbale che non è solo espressivo e comunicativo, come i linguaggi animali, ma è anche descrittivo, espositivo e soprattutto argomentativo-critico.
Conoscere la storia della fotografia è indispensabile per capirla bene. La fotografia è una di quelle relativamente rare invenzioni così importanti da dividere la storia dell’umanità in un prima e in un dopo.
Questo punto è molto importante, e quindi lo ripeto riprendendo il confronto con la pittura. La pittura è un simbolo e non potrà che essere un simbolo, non è e non può mai essere un indice. La fotografia invece ha la sua peculiarità nell’essere un indice, ma può ben essere anche un simbolo, sia come fotografia vera e propria sia come immagine ottenuta manipolandola! Ecco qui la forza poderosa della fotografia rispetto agli altri linguaggi rappresentativi! Tra i più importanti linguaggi rappresentativi solo la fotografia ha un rapporto diretto con ciò che rappresenta, solo la fotografia è un indice.
Ed eccoci ad “alterare”, altra parola chiave. Attenzione, vale qui non in senso dispregiativo ma solo nella sua etimologia latina di alter: trasformare in qualcosa di diverso, rendere “altro” rispetto all’originale. Oggi, dopo lo scatto, sono praticamente obbligatori degli aggiustamenti, ma se l’idea del fotografo è quella di rimanere all’interno della “fotografia”, le modifiche devono essere minime e comunque tali da non trasformare l’immagine in “altro”, tali da far restare l’immagine come uno stampo automatico, un indice, di ciò che si poteva vedere davanti all’obiettivo al momento dello scatto. . Ci sono sempre stati molti modi di “alterare” il risultato fotografico nel momento stesso dello scatto, ad esempio usando filtri, esagerando l’esposizione, muovendo la fotocamera, e in mille altri modi; c’è poi il vasto tema delle situazioni preparate ad hoc, cioè delle messe in scena; ma mi concentro in questa sede sulle alterazioni fatte in una fase successiva allo scatto.
Attenzione però, sia chiaro che ottenere e usare le immagini fotoprodotte può essere altrettanto importante e dignitoso! Anzi dico di più: in taluni casi esprimersi con le immagini fotoprodotte può essere ancor più efficace che con le fotografie, al fine di promuovere una buona causa, per suscitare una certa emozione, porre attenzione su un argomento concreto. Tuttavia un’immagine fotoprodotta è un’altra cosa rispetto a una fotografia.
* appendice 4: rappresentazione, indicalità ambiguità (epistolario con Mauro Pieroni)
carlodelli
Per la collaborazione nell’estensione, la modifica e il completamento di questo scritto ringrazio particolarmente Massimo Mussini, Mauro Pieroni, Giorgio Rigon, Giorgio Tani e Giancarlo Torresani, ma anche, per l’epistolario avuto, Silvano Bicocchi, Vincenzo Marzocchini, Filomeno Mottola, Claudio Pastrone, Marcello Ricci e Piero Sbrana.
APPENDICI a “Fotografie e immagini fotoprodotte”
Appendice 1 – di Giorgio Rigon
Ben presto, si capì che, con la fotografia, era nato un nuovo linguaggio, diverso dalle parole, diverso dalle altre rappresentazioni iconiche come il
disegno e le arti figurative, un linguaggio che, nella coscienza comune, assolveva un ruolo subalterno rispetto a queste ultime. Oggi, grazie alla
moderna “Teoria Generale dei Sistemi"[1], ci si orienta sempre più verso un processo integrato nella percezione, nella lettura e nella critica dei prodotti delle arti visuali, dei mezzi per la comunicazione di massa, dei media pubblicitari. La fotografia non fa eccezione a questo sistema interdisciplinare.
Ma ben prima della formulazione della citata Teoria, molti artisti, a cominciare dal Futurismo e dal Dadaismo, avevano, provocatoriamente, integrato parole a figure. Emblematica, sotto questo profilo, l’opera pittorica di René Magritte ove l’uso della parola serve all’Autore a sottolineare la differenza tra soggetto reale e sua rappresentazione.
É ovvio che la pipa e la sua immagine non coincidono, hanno proprietà e caratteri diversi.
Inoltre il messaggio che il dipinto ci trasmette è di tipo psicologico-concettuale e ci invita a riflettere che, molte volte, lo scopo dell'opera d'arte o della fotografia non è solo rappresentazione di per sé, ma stimolo per una riflessione.
Gli stilisti della moda, essi pure operatori d’arte, in tempi diversi, scoprono che il linguaggio parlato muta con il passare dei tempi, si creano neologismi,slogan, inglesismi che, se impressi capricciosamente sui capi di abbigliamento, possono caratterizzare un periodo, una stagione culturale; si tratta di un linguaggio balbettato, sintetico, come quello dei fumetti. La moda, così, interagisce con le parole, non più adottando la grafia da precettore con cui Magritte ci spiega che il simulacro pittorico non è la realtà, ma con le linee armoniche e gli occhi rotondi di alcuni caratteri bodoniani[1].
Al fotografo non sfugge questa integrazione tra due diverse discipline espressive ed egli la registra, a suo modo, alterandone le forme, così, la figura femminile, disinvolto veicolo dei nuovi messaggi, viene monumentalizzata, isolata dal contesto in cui deambula, le lettere del linguaggio parlato si pongono in evidenza ad evocare i non sensi di matrice marinettiana[2].
Il Fotoprodotto rappresenta, così, la più equilibrata integrazione tra i linguaggi della letteratura, della moda e della fotografia.
Giorgio Rigon
[1] Von Bertalanffy L., Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, ILI, 1968.
Appendice 2: la realtà.
Cercare di definire cosa sia esattamente la realtà equivale a sparire in un buco nero: ancor oggi i filosofi ne discutono e hanno iniziato 2500 anni fa. Voglio solo sottolineare qui l’assurdità di coloro che dal fatto che esistano più livelli di realtà (ad esempio tra esseri diversi o a livelli dimensionali diversi) ricavano la conclusione che quello che percepiamo e vediamo “non è realtà” e che c’è una realtà “vera”e “assoluta” che noi non vediamo ma che è la sola che conta. Questa è, ripeto, una pura assurdità. A parte gli idealisti, coi quali ovviamente non si può discutere perché tutto è apparenza e qualsiasi prova portiate è frutto per loro d’immaginazione, tutti gli altri devono ammettere che se noi abbiamo una realtà “nostra”, direi che interpretiamo la supposta ”realtà assoluta” meravigliosamente bene!! Siamo miliardi e quindi evolutivamente stiamo funzionando fin troppo bene! Siamo arrivati ad una comprensione della materia impensabile fino a un secolo fa, comprensione in larga parte esatta, come provano le applicazioni pratiche che ne derivano. E poi ora che abbiamo preso coscienza del fatto che esistono più livelli di realtà, fino ai quark e ai bosoni, tanto che sappiamo essere la materia una forma di energia, dobbiamo capire anche che se esiste una “nostra” realtà questa appunto esiste, ed è la più importante, includendo anche il sapere che ne esistono altre. Noi nella stragrande maggioranza dei casi siamo in grado di “leggere” benissimo la realtà coi nostri sensi e interpretarla con la nostra mente. Il senso di gran lunga più importante per questa funzione è la vista: il mondo reale si può vedere. E fotografare!!
Appendice 3: elettronografia.
Volendo andare all’etimologia delle parole, sappiamo bene che foto-grafare significa scrivere con i fotoni, cioè con i bosoni che veicolano la manifestazione elettromagnetica che chiamiamo luce. Quando si modificano o alterano le fotografie nella camera oscura, con mascherature, doppie esposizioni, etc, si usano ancora i fotoni. Ma adesso tutte le modifiche che facciamo al computer non le facciamo più con i fotoni: dentro il computer non c’è una luce che modifica le nostre foto, noi dentro al computer modifichiamo dei numeri servendoci non di fotoni ma di elettroni e allora se vogliamo essere precisi quello che tiriamo fuori non sono più foto-grafie ma elettrono-grafie! “Elettronografia” è però parziale, anche perché le stesse modifiche potrebbero essere fatte spesso anche senza computer, mentre “fotoprodotto” è più chiaro perché onni-comprensivo di “alterazione” della fotografia, sempre intesa assolutamente non come connotazione negativa ma di “rendere cosa diversa”.
Appendice 4 – rappresentazione, indicalità, ambiguità - riassunto di un epistolario in cui Mauro Pieroni www.ilfuocoimperfetto.it esprime alcuni dei dubbi più comuni su questi argomenti.
PIERONI: … Devo dire che in prima lettura il tuo articolo mi ha convinto … rileggendo sono però emersi degli interrogativi: … l’espressione “modifiche minime” apre un mondo di congetture. Da minime a massime ci corre un intero universo di modifiche … Quali saranno le davvero minime? E poi: siamo certi che la fotografia possa essere un “indice di ciò che era davanti all’obiettivo”?
Mi sono soffermato a lungo su questo concetto e alla fine mi sono risposto di no, perché sono convinto che la fotografia, esattamente come il fotoprodotto, contenga delle profonde ambiguità, delle insondabili e insuperabili incertezze concettuali che nessuna definizione potrà mai sanare.
Credo insomma che ci si debba fermare all’idea di “rappresentazione della realtà”, che oltre questo si entri in un territorio minato o, se non altro, insidiosissimo. Un indice mi fa venire in mente anche un elenco di punti fermi e, per rapida associazione, i titoli numerati di una serie di capitoli.
…
Mi ricordo le prime macchine fotografiche … c’era solo una levetta per tre posizioni: sole, mezzosole e ombra ... mi ricordo le incredibili sorprese dopo lo sviluppo e la stampa, alcune immagini erano tutto fuori che quello che ci aspettavamo. Quante volte mi son chiesto “ma questa da dove viene fuori?”. Eppure quelle erano fotografie senza nessuna modifica, non fotoprodotti, ma non erano affatto un indice della realtà.
... possiamo dire che anche i magnifici paesaggi di Ansel Adams sono lontanissimi dall’essere un indice della realtà, essi secondo me sono degli straordinari fotoprodotti, dei tarocchi stratosferici! Egli infatti era solito effettuare modifiche, tutt’altro che minime… e allora come la mettiamo? Adams trasformava Yosemite in altro? Secondo me sì, ma se separare le fotografie dai fotoprodotti ti rasserena sei liberissimo di farlo… temo però che sia una distinzione che, se messa alla prova, presti il fianco sul versante dell’ambiguità.
…
Il problema dell’ambiguità della fotografia resta irrisolto e ti dirò che sono contento perché, secondo me, è proprio da questa ambiguità che nasce la grande fascinazione del gesto fotografico.
Per concludere, Carlo, direi che il vero confine che possiamo tracciare è quello dell’onestà, che però sta nel fotografo e non nella fotografia.
DELLI: ... Cerco di risponderti brevemente. 1) Proprio tu mi chiedi che cosa dobbiamo intendere con minime?! Lo abbiamo scritto noi due insieme l’articolo dove si proponevano le modifiche possibili e dove si faceva già presente che comunque alcuni confini erano discutibili! Ti rimando, come ho già fatto nel mio scritto, a quell’articolo! E le fotografie “strane” che ti venivano fuori erano e sono fotoprodotti, ho già scritto che si può uscire dalla rappresentazione della realtà in molti nodi anche in fase di scatto.
2) Non sono io che dico che la foto è un “indice” di quello che era davanti all’obiettivo, lo dicono importanti critici, grandi fotografi e famosi semiologi: io sono d’accordo con questi e ho cercato di spiegarlo. Ti aggiungo però che “indice” in semiologia non ha niente a che vedere con l’indice di un libro, bensì significa “stampo”, “contiguità fisica”, “corrispondenza” e si contrappone a “icona” e “simbolo” (la pittura ad esempio è sempre un simbolo, anche quella iperrealista). Comunque è importante che siamo d’accordo sul punto essenziale che la fotografia è “rappresentazione della realtà”.
3) La fotografia è ANCHE ambiguità: sono d’accordissimo su questo, ma lo hanno detto, e molte volte, quasi tutti. Credo che l’ambiguità sia un grande punto di forza di questa “rappresentazione”, come giustamente dici anche tu alla fine, e io non intendo affatto risolverla, questa ambiguità.
Poi, dopo aver constatato che comunque siamo molto d’accordo, replico: la questione che sollevi è giusta, anzi come ho detto la tua è la reazione più “normale” a quello che capisco possa apparire come un tentativo di dividere nettamente in due le immagini finali che partono da uno scatto fotografico. Ma la sostanza del mio scritto non è questa: nasce dal fatto che sono stufo e arrabbiato nel sentir chiamare “fotografie” delle immagini che non lo sono e propone per queste un nuovo termine, ma ha già al suo interno il passaggio <<… ma ci saranno anche casi limite in cui il giudizio è aperto: sono i casi in cui l’Autore può sentirsi dentro i limiti della fotografia mentre per altri li ha superati. In diverse circostanze i confini non sono infatti netti … etc >>. È un fatto che ci possiamo trovare in difficoltà se vogliamo fare una catalogazione netta perché è un fatto che ci sono casi discutibili, ma a noi una catalogazione netta, una classificazione, non interessa, è un “sottoprodotto” inevitabile perché vogliamo parlare e capire. La classificazione degli animali per esempio è indispensabile, dico indispensabile!, per le scienze naturalistiche, ma l’ornitorinco non sapevamo dove metterlo e l’abbiamo messo lì solo perché in qualche posto doveva stare! Ora il nostro ambito è più umanistico e filosofico che scientifico e le classificazioni sono inevitabili ma trascurabili se siamo intelligenti. Ma veniamo ad altri fatti: come è un fatto che certe immagini sono di discutibile collocazione (ma anche questo fa parte dell’ambiguità ed è quindi positivo, molto positivo!) è un fatto anche che certe immagini sono veramente fotografie ed è un fatto che certe altre non lo sono. Allora l’eventuale classificazione (che ripeto a me non interessa come tale) vedrà tre gruppi: fotografie propriamente dette, immagini fotoprodotte e altre incerte, sulle quali ci impegneremo – e divertiremo!! – a discutere.
Voglio infine aggiungere un altro esempio - oltre quelli già messi nell’articolo - di come esistano fotografie “vere” dove rappresentazione e indicalità rispetto alla realtà sono indiscutibili. Quando venne sfiorata la guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti per la crisi dei missili a Cuba, e venne veramente sfiorata!, tutto cominciò per le fotografie fatte dagli aerei-spia americani. E i russi non misero in dubbio la verità di quelle foto!, presero atto di essere stati scoperti e basta! Un generale USA disse quasi testualmente: <<Un rapporto può essere falsificato, una confessione può essere menzognera, un’intercettazione può essere un inganno, ma una fotografia non si discute, quello che si vede c’è!>>. Allora: il fatto che certe immagini siano di difficile collocazione non significa che possiamo ignorare l’importanza della fotografia come rappresentazione e indicalità della realtà: una “fotografia” propriamente detta non va confusa con immagini che non lo sono, e questa confusione va evitata prima di tutto con le parole.
PIERONI: … D’accordo sulle modifiche… che possono essere utilmente raccolte in un elenco, quello che conosciamo, anche se vedo in quell’elenco finalità strettamente pratiche ma sempre esposte a critiche “filosofiche”.
So bene che l’indice a cui ti riferivi è quello semiologico e infatti nel mio scritto accennavo ad altri indici solo per divertirmi con le parole.
L’ambiguità… qui sta il punto. In allegato, in fondo, troverai una fotografia che ho scattato stando seduto in poltrona, nel mio studio, davanti alla scrivania e al computer, dove era aperta la tua lettera… l’ho intitolata “marina” perché davvero trasmette un’atmosfera marina, come se si vedesse una qualche balconata affacciata sul mare. Si tratta di una vera fotografia, di una fotografia propriamente detta, ottenuta premendo il pulsante di scatto ed esponendo la superficie sensibile alla luce del mondo reale. Ma quella fotografia è davvero un indice della realtà? No, non lo è! Non lo è perché deve fare i conti con il tempo… come devono farli tutte le immagini fotografiche! E come dobbiamo farli anche noi…
Eppure non contiene alcuna manipolazione, nessuna modifica! Non è di certo un fotoprodotto, ma bensì la più pura delle fotografie!
Siamo forse allora nella nuova categoria delle “incerte”?
Insomma, sarò testardo, ma tendo a pensare che sia necessario inserire tra le incerte tutte le immagini fotografiche esistenti ... Dunque si torna al condiviso concetto di rappresentazione della realtà e, soprattutto… all’onestà del fotografo! Insomma, se devo ragionare in termini filosofici sull’essenza dell’immagine fotografica, per me esiste solo la categoria incerte!
...
(un altro dubbio) ...le mie aquile, costruite assemblando 3 o 4 immagini diverse hanno elevatissima rappresentatività, in quanto mostrano, molto realisticamente, attraverso un artificio (il taroccamento) un evento reale, accaduto sotto i miei occhi. Dunque un fotoprodotto è più indice del reale di quanto non lo sia una fotografia?
...
Grazie davvero, di farmi pensare alla fotografia a questo livello, è una cosa bella e molto affascinante.
DELLI: 1) La tua “fotografia” è praticamente astratta e non so cosa ci sia stato davanti alla macchina fotografica (ad esempio potresti aver fotografato uno schermo televisivo in movimento), quindi il giudizio è tuo e solo tuo: ho già detto che la
volontà e l’intenzione del fotografo è una delle cose fondamentali nell’uso del mezzo fotografico, potresti schiarirci le idee con un titolo. Ma se imposto un tempo di 10” sulla macchina e poi la faccio roteare tenendo la cinghia non credo che quello che verrà impressionato corrisponderà a quello che avevo intorno, ma se sono su un otto volante e ho la macchina legata sulla testa sarà quello che ho visto dalla mia prospettiva in 10”, ma sarà tutto irriconoscibile: ecco due casi di relatività che non possiamo presentare in una immagine per condividere con altri una realtà non rappresentata o irrappresentabile; ciò non toglie che quelle immagini avranno un significato!!! (ecco fatto: ora sì che non ci si capisce più nulla ma si ritorna all’ambiguità e al diverso uso della fotografia: rappresentazione/personalizzazione/astrazione = ambiguità!!! bellissimo!).
2) Sulle aquile, taroccate perché hai messo insieme parti di più scatti, è facile: rappresentano quello che hai visto ma non quello che sei riuscito a fotografare. Sai bene che in fotografia di Natura, essendo fotografia “realista,” non possiamo ricreare a posteriori e con qualsiasi mezzo tutto quello che vediamo.
3) Vivaddio ognuno ha una sua visione del mondo! Il bicchiere è contemporaneamente mezzo pieno e mezzo vuoto. Due ragazzi sono violentati: per la stessa esperienza uno diventa violentatore a sua volta e l’altro invece si impegna nella vita affinché le violenze non avvengano. In un mondo dove è facile dire bugie per te tutto è bugia, per me invece è proprio per questo che la realtà è ancora più importante da rappresentare. E ognuno resterà legittimamente nella sua opinione. Ma ne stiamo discutendo e ne discuteremo, pensando, e anche questa è vita...
PIERONI: Certo Carlo, vita, e in fondo il cerchio si chiude sugli assunti iniziali: l’intenzione del fotografo (e dunque credo anche la sua onestà) e l’irrisolta ambiguità fotografica...
FOTOGRAFIE e IMMAGINI FOTOPRODOTTE Una proposta terminologica Come siamo diventati Homo sapiens sapiens ? Con un modo nuovo di camminare: il bipedismo perfetto. La mano, libera dalla deambulazione, ha iniziato ad illuminarci la mente, ma sono state poi le parole che formando il nostro principale linguaggio l’hanno finalmente accesa. È propriamente vero che il Verbo ci ha creati! Siamo quali siamo per il nostro linguaggio verbale che non è solo espressivo e comunicativo, come i linguaggi animali, ma è anche descrittivo, espositivo e soprattutto argomentativo-critico. * appendice 4: rappresentazione, indicalità ambiguità (epistolario con Mauro Pieroni) Per la collaborazione nell’estensione, la modifica e il completamento di questo scritto ringrazio particolarmente Massimo Mussini, Mauro Pieroni, Giorgio Rigon, Giorgio Tani e Giancarlo Torresani, ma anche, per l’epistolario avuto, Silvano Bicocchi, Vincenzo Marzocchini, Filomeno Mottola, Claudio Pastrone e Piero Sbrana. APPENDICI a “Fotografie e immagini fotoprodotte” Appendice 1 – di Giorgio Rigon Ben presto, si capì che, con la fotografia, era nato un nuovo linguaggio, diverso dalle parole, diverso dalle altre rappresentazioni iconiche come il
disegno e le arti figurative, un linguaggio che, nella coscienza comune, assolveva un ruolo subalterno rispetto a queste ultime. Oggi, grazie alla moderna “Teoria Generale dei Sistemi"[1], ci si orienta sempre più verso un processo integrato nella percezione, nella lettura e nella critica dei prodotti delle arti visuali, dei mezzi per la comunicazione di massa, dei media pubblicitari. La fotografia non fa eccezione a questo sistema interdisciplinare. Ma ben prima della formulazione della citata Teoria, molti artisti, a cominciare dal Futurismo e dal Dadaismo, avevano, provocatoriamente, integrato parole a figure. Emblematica, sotto questo profilo, l’opera pittorica di René Magritte ove l’uso della parola serve all’Autore a sottolineare la differenza tra soggetto reale e sua rappresentazione. É ovvio che la pipa e la sua immagine non coincidono, hanno proprietà e caratteri diversi.
Inoltre il messaggio che il dipinto ci trasmette è di tipo psicologico-concettuale e ci invita a riflettere che, molte volte, lo scopo dell'opera d'arte o della fotografia non è solo rappresentazione di per sé, ma stimolo per una riflessione. Gli stilisti della moda, essi pure operatori d’arte, in tempi diversi, scoprono che il linguaggio parlato muta con il passare dei tempi, si creano neologismi,slogan, inglesismi che, se impressi capricciosamente sui capi di abbigliamento, possono caratterizzare un periodo, una stagione culturale; si tratta di un linguaggio balbettato, sintetico, come quello dei fumetti. La moda, così, interagisce con le parole, non più adottando la grafia da precettore con cui Magritte ci spiega che il simulacro pittorico non è la realtà, ma con le linee armoniche e gli occhi rotondi di alcuni caratteri bodoniani[1]. Al fotografo non sfugge questa integrazione tra due diverse discipline espressive ed egli la registra, a suo modo, alterandone le forme, così, la figura femminile, disinvolto veicolo dei nuovi messaggi, viene monumentalizzata, isolata dal contesto in cui deambula, le lettere del linguaggio parlato si pongono in evidenza ad evocare i non sensi di matrice marinettiana[2]. Il Fotoprodotto rappresenta, così, la più equilibrata integrazione tra i linguaggi della letteratura, della moda e della fotografia. Giorgio Rigon [1] Von Bertalanffy L., Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, ILI, 1968. Appendice 2: la realtà. Cercare di definire cosa sia esattamente la realtà equivale a sparire in un buco nero: ancor oggi i filosofi ne discutono e hanno iniziato 2500 anni fa. Voglio solo sottolineare qui l’assurdità di coloro che dal fatto che esistano più livelli di realtà (ad esempio tra esseri diversi o a livelli dimensionali diversi) ricavano la conclusione che quello che percepiamo e vediamo “non è realtà” e che c’è una realtà “vera”e “assoluta” che noi non vediamo ma che è la sola che conta. Questa è, ripeto, una pura assurdità. A parte gli idealisti, coi quali ovviamente non si può discutere perché tutto è apparenza e qualsiasi prova portiate è frutto per loro d’immaginazione, tutti gli altri devono ammettere che se noi abbiamo una realtà “nostra”, direi che interpretiamo la supposta ”realtà assoluta” meravigliosamente bene!! Siamo miliardi e quindi evolutivamente stiamo funzionando fin troppo bene! Siamo arrivati ad una comprensione della materia impensabile fino a un secolo fa, comprensione in larga parte esatta, come provano le applicazioni pratiche che ne derivano. E poi ora che abbiamo preso coscienza del fatto che esistono più livelli di realtà, fino ai quark e ai bosoni, tanto che sappiamo essere la materia una forma di energia, dobbiamo capire anche che se esiste una “nostra” realtà questa appunto esiste, ed è la più importante, includendo anche il sapere che ne esistono altre. Noi nella stragrande maggioranza dei casi siamo in grado di “leggere” benissimo la realtà coi nostri sensi e interpretarla con la nostra mente. Il senso di gran lunga più importante per questa funzione è la vista: il mondo reale si può vedere. E fotografare!!
Appendice 3: elettronografia. Volendo andare all’etimologia delle parole, sappiamo bene che foto-grafare significa scrivere con i fotoni, cioè con i bosoni che veicolano la manifestazione elettromagnetica che chiamiamo luce. Quando si modificano o alterano le fotografie nella camera oscura, con mascherature, doppie esposizioni, etc, si usano ancora i fotoni. Ma adesso tutte le modifiche che facciamo al computer non le facciamo più con i fotoni: dentro il computer non c’è una luce che modifica le nostre foto, noi dentro al computer modifichiamo dei numeri servendoci non di fotoni ma di elettroni e allora se vogliamo essere precisi quello che tiriamo fuori non sono più foto-grafie ma elettrono-grafie! “Elettronografia” è però parziale, anche perché le stesse modifiche potrebbero essere fatte spesso anche senza computer, mentre “fotoprodotto” è più chiaro perché onni-comprensivo di “alterazione” della fotografia, sempre intesa assolutamente non come connotazione negativa ma di “rendere cosa diversa”. Appendice 4 – rappresentazione, indicalità, ambiguità - riassunto di un epistolario in cui Mauro Pieroni www.ilfuocoimperfetto.it esprime alcuni dei dubbi più comuni su questi argomenti. PIERONI: … Devo dire che in prima lettura il tuo articolo mi ha convinto … rileggendo sono però emersi degli interrogativi: … l’espressione “modifiche minime” apre un mondo di congetture. Da minime a massime ci corre un intero universo di modifiche … Quali saranno le davvero minime? E poi: siamo certi che la fotografia possa essere un “indice di ciò che era davanti all’obiettivo”? Mi sono soffermato a lungo su questo concetto e alla fine mi sono risposto di no, perché sono convinto che la fotografia, esattamente come il fotoprodotto, contenga delle profonde ambiguità, delle insondabili e insuperabili incertezze concettuali che nessuna definizione potrà mai sanare. Credo insomma che ci si debba fermare all’idea di “rappresentazione della realtà”, che oltre questo si entri in un territorio minato o, se non altro, insidiosissimo. Un indice mi fa venire in mente anche un elenco di punti fermi e, per rapida associazione, i titoli numerati di una serie di capitoli. … Mi ricordo le prime macchine fotografiche … c’era solo una levetta per tre posizioni: sole, mezzosole e ombra ... mi ricordo le incredibili sorprese dopo lo sviluppo e la stampa, alcune immagini erano tutto fuori che quello che ci aspettavamo. Quante volte mi son chiesto “ma questa da dove viene fuori?”. Eppure quelle erano fotografie senza nessuna modifica, non fotoprodotti, ma non erano affatto un indice della realtà. ... possiamo dire che anche i magnifici paesaggi di Ansel Adams sono lontanissimi dall’essere un indice della realtà, essi secondo me sono degli straordinari fotoprodotti, dei tarocchi stratosferici! Egli infatti era solito effettuare modifiche, tutt’altro che minime… e allora come la mettiamo? Adams trasformava Yosemite in altro? Secondo me sì, ma se separare le fotografie dai fotoprodotti ti rasserena sei liberissimo di farlo… temo però che sia una distinzione che, se messa alla prova, presti il fianco sul versante dell’ambiguità. … Il problema dell’ambiguità della fotografia resta irrisolto e ti dirò che sono contento perché, secondo me, è proprio da questa ambiguità che nasce la grande fascinazione del gesto fotografico. Per concludere, Carlo, direi che il vero confine che possiamo tracciare è quello dell’onestà, che però sta nel fotografo e non nella fotografia. DELLI: ... Cerco di risponderti brevemente. 1) Proprio tu mi chiedi che cosa dobbiamo intendere con minime?! Lo abbiamo scritto noi due insieme l’articolo dove si proponevano le modifiche possibili e dove si faceva già presente che comunque alcuni confini erano discutibili! Ti rimando, come ho già fatto nel mio scritto, a quell’articolo! E le fotografie “strane” che ti venivano fuori erano e sono fotoprodotti, ho già scritto che si può uscire dalla rappresentazione della realtà in molti nodi anche in fase di scatto. 2) Non sono io che dico che la foto è un “indice” di quello che era davanti all’obiettivo, lo dicono importanti critici, grandi fotografi e famosi semiologi: io sono d’accordo con questi e ho cercato di spiegarlo. Ti aggiungo però che “indice” in semiologia non ha niente a che vedere con l’indice di un libro, bensì significa “stampo”, “contiguità fisica”, “corrispondenza” e si contrappone a “icona” e “simbolo” (la pittura ad esempio è sempre un simbolo, anche quella iperrealista). Comunque è importante che siamo d’accordo sul punto essenziale che la fotografia è “rappresentazione della realtà”. 3) La fotografia è ANCHE ambiguità: sono d’accordissimo su questo, ma lo hanno detto, e molte volte, quasi tutti. Credo che l’ambiguità sia un grande punto di forza di questa “rappresentazione”, come giustamente dici anche tu alla fine, e io non intendo affatto risolverla, questa ambiguità. Poi, dopo aver constatato che comunque siamo molto d’accordo, replico: la questione che sollevi è giusta, anzi come ho detto la tua è la reazione più “normale” a quello che capisco possa apparire come un tentativo di dividere nettamente in due le immagini finali che partono da uno scatto fotografico. Ma la sostanza del mio scritto non è questa: nasce dal fatto che sono stufo e arrabbiato nel sentir chiamare “fotografie” delle immagini che non lo sono e propone per queste un nuovo termine, ma ha già al suo interno il passaggio <<… ma ci saranno anche casi limite in cui il giudizio è aperto: sono i casi in cui l’Autore può sentirsi dentro i limiti della fotografia mentre per altri li ha superati. In diverse circostanze i confini non sono infatti netti … etc >>. È un fatto che ci possiamo trovare in difficoltà se vogliamo fare una catalogazione netta perché è un fatto che ci sono casi discutibili, ma a noi una catalogazione netta, una classificazione, non interessa, è un “sottoprodotto” inevitabile perché vogliamo parlare e capire. La classificazione degli animali per esempio è indispensabile, dico indispensabile!, per le scienze naturalistiche, ma l’ornitorinco non sapevamo dove metterlo e l’abbiamo messo lì solo perché in qualche posto doveva stare! Ora il nostro ambito è più umanistico e filosofico che scientifico e le classificazioni sono inevitabili ma trascurabili se siamo intelligenti. Ma veniamo ad altri fatti: come è un fatto che certe immagini sono di discutibile collocazione (ma anche questo fa parte dell’ambiguità ed è quindi positivo, molto positivo!) è un fatto anche che certe immagini sono veramente fotografie ed è un fatto che certe altre non lo sono. Allora l’eventuale classificazione (che ripeto a me non interessa come tale) vedrà tre gruppi: fotografie propriamente dette, immagini fotoprodotte e altre incerte, sulle quali ci impegneremo – e divertiremo!! – a discutere. Voglio infine aggiungere un altro esempio - oltre quelli già messi nell’articolo - di come esistano fotografie “vere” dove rappresentazione e indicalità rispetto alla realtà sono indiscutibili. Quando venne sfiorata la guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti per la crisi dei missili a Cuba, e venne veramente sfiorata!, tutto cominciò per le fotografie fatte dagli aerei-spia americani. E i russi non misero in dubbio la verità di quelle foto!, presero atto di essere stati scoperti e basta! Un generale USA disse quasi testualmente: <<Un rapporto può essere falsificato, una confessione può essere menzognera, un’intercettazione può essere un inganno, ma una fotografia non si discute, quello che si vede c’è!>>. Allora: il fatto che certe immagini siano di difficile collocazione non significa che possiamo ignorare l’importanza della fotografia come rappresentazione e indicalità della realtà: una “fotografia” propriamente detta non va confusa con immagini che non lo sono, e questa confusione va evitata prima di tutto con le parole. PIERONI: … D’accordo sulle modifiche… che possono essere utilmente raccolte in un elenco, quello che conosciamo, anche se vedo in quell’elenco finalità strettamente pratiche ma sempre esposte a critiche “filosofiche”. So bene che l’indice a cui ti riferivi è quello semiologico e infatti nel mio scritto accennavo ad altri indici solo per divertirmi con le parole. L’ambiguità… qui sta il punto. In allegato, in fondo, troverai una fotografia che ho scattato stando seduto in poltrona, nel mio studio, davanti alla scrivania e al computer, dove era aperta la tua lettera… l’ho intitolata “marina” perché davvero trasmette un’atmosfera marina, come se si vedesse una qualche balconata affacciata sul mare. Si tratta di una vera fotografia, di una fotografia propriamente detta, ottenuta premendo il pulsante di scatto ed esponendo la superficie sensibile alla luce del mondo reale. Ma quella fotografia è davvero un indice della realtà? No, non lo è! Non lo è perché deve fare i conti con il tempo… come devono farli tutte le immagini fotografiche! E come dobbiamo farli anche noi… Eppure non contiene alcuna manipolazione, nessuna modifica! Non è di certo un fotoprodotto, ma bensì la più pura delle fotografie! Siamo forse allora nella nuova categoria delle “incerte”? Insomma, sarò testardo, ma tendo a pensare che sia necessario inserire tra le incerte tutte le immagini fotografiche esistenti ... Dunque si torna al condiviso concetto di rappresentazione della realtà e, soprattutto… all’onestà del fotografo! Insomma, se devo ragionare in termini filosofici sull’essenza dell’immagine fotografica, per me esiste solo la categoria incerte! ... (un altro dubbio) ...le mie aquile, costruite assemblando 3 o 4 immagini diverse hanno elevatissima rappresentatività, in quanto mostrano, molto realisticamente, attraverso un artificio (il taroccamento) un evento reale, accaduto sotto i miei occhi. Dunque un fotoprodotto è più indice del reale di quanto non lo sia una fotografia? ... Grazie davvero, di farmi pensare alla fotografia a questo livello, è una cosa bella e molto affascinante.
DELLI: 1) La tua “fotografia” è praticamente astratta e non so cosa ci sia stato davanti alla macchina fotografica (ad esempio potresti aver fotografato uno schermo televisivo in movimento), quindi il giudizio è tuo e solo tuo: ho già detto che la volontà e l’intenzione del fotografo è una delle cose fondamentali nell’uso del mezzo fotografico, potresti schiarirci le idee con un titolo. Ma se imposto un tempo di 10” sulla macchina e poi la faccio roteare tenendo la cinghia non credo che quello che verrà impressionato corrisponderà a quello che avevo intorno, ma se sono su un otto volante e ho la macchina legata sulla testa sarà quello che ho visto dalla mia prospettiva in 10”, ma sarà tutto irriconoscibile: ecco due casi di relatività che non possiamo presentare in una immagine per condividere con altri una realtà non rappresentata o irrappresentabile; ciò non toglie che quelle immagini avranno un significato!!! (ecco fatto: ora sì che non ci si capisce più nulla ma si ritorna all’ambiguità e al diverso uso della fotografia: rappresentazione/personalizzazione/astrazione = ambiguità!!! bellissimo!). 2) Sulle aquile, taroccate perché hai messo insieme parti di più scatti, è facile: rappresentano quello che hai visto ma non quello che sei riuscito a fotografare. Sai bene che in fotografia di Natura, essendo fotografia “realista,” non possiamo ricreare a posteriori e con qualsiasi mezzo tutto quello che vediamo. 3) Vivaddio ognuno ha una sua visione del mondo! Il bicchiere è contemporaneamente mezzo pieno e mezzo vuoto. Due ragazzi sono violentati: per la stessa esperienza uno diventa violentatore a sua volta e l’altro invece si impegna nella vita affinché le violenze non avvengano. In un mondo dove è facile dire bugie per te tutto è bugia, per me invece è proprio per questo che la realtà è ancora più importante da rappresentare. E ognuno resterà legittimamente nella sua opinione. Ma ne stiamo discutendo e ne discuteremo, pensando, e anche questa è vita... PIERONI: Certo Carlo, vita, e in fondo il cerchio si chiude sugli assunti iniziali: l’intenzione del fotografo (e dunque credo anche la sua onestà) e l’irrisolta ambiguità fotografica... |